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moussa in paradiso

Quando Moussa Diarra arriva in Paradiso, il cancello rimane chiuso. Davanti a lui trova un angelo burocrate, con le carte in mano e il verbale già compilato. Moussa, 26 anni, originario del Mali, è stato ucciso a Verona da tre colpi di pistola sparati da un agente della Polfer. Era disarmato. E anche nella morte, come nella vita, si ritrova a dover spiegare, giustificarsi, rispondere di accuse che non ha mai scelto.

Moussa in Paradiso è una giullarata funebre che mescola ironia tragica, denuncia civile e il linguaggio grottesco del teatro politico. Seguendo la tradizione di Dario Fo, lo spettacolo mette in scena il meccanismo perfetto con cui si rovescia la verità: le vittime diventano colpevoli, le responsabilità si dissolvono, la morte si trasforma in un semplice atto amministrativo.

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la nuvola sporca

Sulla base di atti giudiziari, testimonianze e cronache giornalistiche Giulio Cavalli ricostruisce la vicenda della fabbrica ICMESA e il profondo cambiamento di sguardo che ha provocato sui rapporti tra lavoro, ambiente e salute. Lo fa attraverso le parole di Angelo, un avventore del bar di paese, alternando video dell’epoca (Teche RAI, Archivio CGL) e sessioni di teatro giornalismo.

Sul palco si dipana un’antologia di depistaggi e di omissioni, di politica che si piega al ricatto dell’industria, di una popolazione che si ritrova a fare i conti con un’emergenza sanitaria di cui non conosce la natura, di una nazione che comincia ad ammettere che i lavoratori hanno non solo il diritto ma anche il dovere di denunciare gravi malfunzionamenti in azienda senza timore di ritorsioni.

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falcone, borsellino e le teste di minchia – il ridicolo onore

Recuperando i canoni dei giullari del ‘500 si percorre la storia delle mafie smontando il presunto onore di presunti boss che si sgretolano di fronte alla risata. Poiché ridere di mafia è il modo migliore per neutralizzarla e poiché praticare la memoria è un dovere, ridere e ricordare sui palchi è il modo migliore per additare le mafie e per provare a sconfiggerle (e costringere chi deve farlo a farlo).

Ridere di mafia è un antiracket culturale. Se la parola funziona significa che tutti hanno in tasca l’arma bianca con cui prendere parte alla battaglia

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a casa loro

Il mare non uccide. Ad uccidere sono le persone, la povertà, le politiche sbagliate e le diseguaglianze che rendono il mondo un posto opposto dipendentemente dal nascere dalla parte giusta o sbagliata. “A casa loro”, partendo dalle coraggiose inchieste di un reporter internazionale, prova a raccontare quella parte del mondo che ci illudiamo di conoscere e di poter giudicare guardando le immagini dei profughi mentre invece ci viene nascosta nel buio delle notizie non date. “A casa loro” è anche la scelta di versare sul palco quel pezzo di mondo che ignoriamo per assolverci e invece la storia ce ne renderà conto perché la solidarietà non sta nei regolamenti, nei trattati internazionali e nemmeno negli editoriali. E per questo forse anche uno spettacolo teatrale serve: i furbi parlano molto di solidarietà, ma ne parlano troppo con chi avrebbe bisogno di riceverla, piuttosto che parlarne con chi avrebbe bisogno di farla.

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